FURIA INDIANA

Gli avvenimenti di quel pomeriggio mi furono raccontati molti anni dopo dall'uomo per il quale la morte di Orso Vittorioso era stata l'inizio della grande avventura. Cavallo Folle. Che era bambino allora e il cui strano nome era dovuto al fatto che il giorno della sua nascita un cavallo imbizzarrito aveva messo lo scompiglio fra le tende della tribù.

Un giorno, un grande condottiero sorgerà in mezzo a voi. Egli unirà tutte le tribù indiane e le porterà alla vittoria. Quando questo grande guerriero morrà, morrà per mano di un Lakota.

Finora siamo sempre andati in battaglia come una mandria di bufali impazziti dal furore. E per questo tanti di noi sono morti. Ma io ho osservato bene come fanno i bianchi. Ho visto come i giovani sono trattenuti dagli ordini dei capi. Fino al momento giusto. E i nostri guerrieri devono fare lo stesso. Essi devono obbedire. Devono essere come la lancia che fa come la mano la comanda.

"Il commissario è amico degli indiani." "Allora noi preferiamo i nemici."

Questa è la nostra patria. La terra sacra dei nostri padri. Per essa io mi batterò e per essa io morrò.

Io non sono un bambino... e non ho più paura del tuono.

Questo non lo farò mai. Che muoia pure. Con tutti noi. Se non potremo vivere da uomini liberi. Per questo combatterò.

Vedremo chi è il più forte... già il mio cuore ha pietà per i bianchi che morranno.

"Raggio di Sole... tu mi credi degno di portare le insegne del capo?" "Può un uomo chiedere questo a sua moglie?"

La battaglia è finita. E noi abbiamo vinto. Digli che avverta tutti i bianchi di non venire più nella nostra terra. Perché se qualcuno ci verrà... vivo non andrà via.

Gli uomini di Custer sono morti da eroi... ma invano.

E' stato vinto dalla neve, Cavallo Folle... non da noi.

Le parole dei bianchi son come la sabbia che il vento soffia via.